Essere tristi e’ funzionale…

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tristezza“Quando si individua un tratto così profondamente conservato nella biologia dell’uomo, bisogna presumere che è un tratto selezionato dall’evoluzione e come tale necessario alla sopravvivenza”
Jerome Wakefield

La tristezza ha un motivo ed e’ meno negativo di cio’ che si possa pensare.
Ci obbliga a momenti di “buio” spazzando via le nostre certezze e creando uno spazio interno di vuoto grazie al quale si potra’ rinascere. La tristezza, infatti, ci conduce ad una più profonda introspezione funzionale, al guardarsi dentro e fare il punto su di sé, per poi andare avanti.
Ci insegna, quindi ad apprezzare la felicità e a fare maggiore chiarezza sulla nostra vita.  Le variazioni dell’umore, se motivate dagli eventi, sono sintomo proprio di una buona salute psicologica e la tristezza rappresenta una risorsa importante per arricchire la vita emotiva che dobbiamo imparare a gestire.

Come dobbiamo gestirla

Impariamo inanzitutto a fermarci e ad entrare in contatto con la nostra tristezza

Permettiamoci di essere tristi

Impariamo a non voler scacciare immediatamente questo sentimento – anche perché sarebbe impossibile – cerchiamo piuttosto di riflettere sul perché stiamo provando quest’ emozione: chiediamoci cosa sta accadendo nella nostra vita , cosa è accaduto, cosa vorremmo che accada. Ogni emozione ha un suo significato sta a noi interpretarlo.

Impariamo a non vergognarci di manifestare la nostra tristezza.

Reprimere questo stato emotivo comporta disagio, rabbia, frustrazione e non fa altro che alimentare il nostro malessere.

E’ importante sottolineare pero’ che se la tristezza diventa troppo intensa, se sconfina in uno stato depressivo prolungato e comporta un marcato disagio psicologico non vergogniamoci a chiedere aiuto perche’ se una sana dose di tristezza è necessaria, tutti gli esperti sono d’accordo nel dire che se si è di fronte ad una diagnosi di depressione allora è necessario sottoporsi a terapie adeguate.

Riferimenti bibliografici:
Marshall J. “Is it really bad to be sad?”, NewScientist, 14 gennaio 2009

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